CENTRO ESTIVO S. BARBARA: IL “POLIPO OTTAVIO” HA CONQUISTATO I BAMBINI PARLANDO DI AMICIZIA, DIVERSITÀ E GRATITUDINE COME DONI PREZIOSI DA CUSTODIRE

Intervista Spagnolo

Tiziana Spagnolo, educatrice e pedagogista della Cooperativa Gea, ci parla di uno dei progetti estivi appena conclusi che hanno riscosso maggior successo.

Tiziana è stata impegnata nel mese di luglio nel centro estivo realizzato nella scuola dell’Infanzia S. Barbara. Un progetto del quale è stata promotrice e che ha portato il concetto di “città educante” in uno dei quartieri più rappresentativi di Viterbo, conquistando i bambini con metodi pedagogici coinvolgenti ed innovativi. Il segreto del successo? Una squadra di educatori vincente, piena di entusiasmo, creatività e amore per il proprio lavoro.

CHI SEI?

Sono Tiziana Spagnolo e sono una pedagogista specializzata in analisi del comportamento applicato all’autismo e tutor ABA. Sono laureata in scienze pedagogiche all’Università di Roma Tre ed ho frequentato un master in analisi comportamentale applicata al Consorzio Humanitas della Lumsa.

Ho iniziato a lavorare in GEA sei anni fa con un progetto estivo e da lì è partita la mia avventura in cooperativa, prima con le sostituzioni nel servizio di assistenza scolastica, per poi entrare a pieno titolo nel team. Attualmente sono impiegata in diversi servizi, dall’assistenza scolastica a tutto quello che riguarda i PAI ed i servizi socio-assistenziali.

COME NASCE IL CENTRO ESTIVO S.BARBARA?

Il progetto nasce in collaborazione con la scuola dell’Infanzia di Santa Barbara, dove ho lavorato quest’anno. L’idea affonda le radici nel concetto di “quartiere” ed è cucita su di esso partendo dai principi di “pedagogia diffusa” e “città educante” di Paolo Mottana, nei quali il luogo compete in maniera preponderante alla funzione educante, perseguendo un’inclusione a 360° di tutti i soggetti del quartiere.

Grazie alla disponibilità della Cooperativa che ha subito accettato la proposta e della scuola, ho avuto la possibilità di presentare un progetto basato sulla “scuola ponte” e volto alla creazione di un luogo di inclusione che offrisse continuità ai bambini con autismo e bisogni educativi speciali. In questo modo hanno potuto interagire in un contesto prevedibile e con figure note, proseguendo con il percorso portato avanti durante l’anno e concentrandolo sull’implementazione delle abilità sociali.

CHI È IL POLIPO OTTAVIO?

Ottavio è un simpatico polipo rosa che ha fatto da “sfondo integratore” al campo estivo, caratterizzando gli ambienti, le storie e le attività dei bambini. Una vera e propria mascotte che ha conquistato tutti, e che ha portato i bambini alla scoperta di temi complessi e di grande importanza. La metodologia dello sfondo integratore, ideata dal pedagogista Andrea Canevaro ampiamente utilizzata nella scuola italiana con finalità inclusive, ha come obiettivo quello di creare un contesto di riferimento narrativo che possa connettere e rendere coerenti le varie attività di cui i bambini sono protagonisti. Le storie di Ottavio, fatte di incontri, ostacoli da superare e soluzioni da adottare, hanno esposto i bambini all’importanza dell’amicizia, del dono e della gratitudine come tesori da custodire nel suo inseparabile baule.

QUALI LABORATORI E TECNICHE INCLUSIVE SONO STATE ADOTATTE NEL CENTRO ESTIVO?

I bambini sono stati coinvolti in moltissimi laboratori, da quello circense al Teatro Kamishibai e delle scatole ottiche e di luce. Si tratta di tecniche inclusive utilizzate per molteplici scopi pedagogici, come le problematiche di attenzione, la socializzazione tra i partecipanti, lo sviluppo psicomotorio e creativo, l’espressione delle emozioni attraverso il corpo.

Tutti gli spazi inoltre sono stati curati per favorire la funzione protettiva dell’ambiente nei confronti dei bambini, in un rapporto sempre in piccolo gruppo, che ha permesso un’alta qualità del servizio offerto ed il raggiungimento degli obiettivi preposti.

LE MAGGIORI DIFFICOLTA CHE INCONTRI NEL TUO LAVORO?

Quello della pedagogista è un lavoro di rete. Questa può rivelarsi un’arma vincente ma difficile da curare. La difficoltà maggiore che spesso si riscontra consiste proprio nel trovare un vocabolario comune con tutti i soggetti coinvolti, che permetta di procedere all’unisono verso gli obiettivi.

COSA AMI DEL TUO LAVORO?

Non penso che nella vita potrei fare qualcosa di diverso. Il mio lavoro rispecchia chi sono, mette in gioco la mia crescita come persona, non solo come professionista, e richiede un costante “check-up” su sé stessi per poter aiutare gli altri. Si tratta di un circolo che si autoalimenta e trovo che non ci sia nulla di più bello e più appagante.

a cura di Cristina Casini
Ufficio Stampa e Comunicazione
Cooperativa Sociale Gea

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