SPETTRO AUTISTICO E DIAGNOSI PRECOCE: SARA FA LUCE SU UN MONDO ANCORA IN OMBRA

Intervista Sara

Sara Bruzzichini, educatrice specializzata nella diagnosi precoce dello spettro autistico (0-3 anni), fa luce su una tematica vittima di scarsa sensibilizzazione da parte della società. Sono troppi i bambini ancora inosservati e le famiglie senza strumenti per affrontare questo disturbo.

Sara, 42 anni, è innanzitutto una mamma. Il suo primo figlio ha nove anni e gli è stato diagnosticato lo spettro all’età di sei. Da qui inizia la sua esperienza formativa e di vita, che l’ha portata ad essere oggi un fiore all’occhiello della nostra Cooperativa sia per competenze specializzate che per straordinaria umanità.

CHI SEI?

Sono Sara Bruzzichini, mi sono formata presso l’IPU (Istituto Universatario Progetto Uomo) con una tesi sulla diagnosi precoce dello spettro autistico negli 0-3 anni. Questa è diventata poi la mia specializzazione, che ho arricchito nel tempo attraverso corsi incentrati sulle nuove terapie fornite dalle Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità: il corso RBT per diventare tecnico ABA (Applied Behavior Analysis, Analisi del Comportamento Applicata); il corso ESDM (Early Start Denver Model) sull’intervento precoce per bambini in età prescolare con disturbi dello spettro, che ho completato con il corso GESDM, finalizzato invece alla formazione del personale dei nidi e delle scuole dell’infanzia sulla terapia di gruppo.

COS È LO SPETTRO AUTISTICO?

Si parla di “spettro” da pochi anni ed il termine indica i diversi livelli e caratteristiche di questa problematica. Si tratta di un disturbo relazionale calato nello sviluppo neurologico atipico di alcune aree, correlate ad indici di rischio e a determinati parametri di sviluppo che emergono negli 0-3 anni. Più questi indici vengono diagnosticati precocemente, prima si attua una terapia di intervento. Anche se bisogna prendere atto che il disturbo dello spettro è per sempre, si tramuta soltanto nelle diverse fasi della vita. Con la diagnosi precoce e l’intervento si può puntare a raggiungere un buon grado di autonomia e di sviluppo nell’ambito lavorativo, in quello che viene definito “progetto di vita” del bambino.

Non tutti sanno che si differenzia dall’autismo classico per il funzionamento, ci sono molti bambini dagli 0 ai 3 anni con tratti sfumati ed una traiettoria di sviluppo non tipica, che pur parlando e seguendo il programma scolastico hanno bisogno di lavorare sulle competenze relazionali e sociali. Diagnosticare queste problematiche non è sempre facile per il genitore e l’insegnante, per questo c’è bisogno di una sensibilizzazione che parte proprio dai nidi e dalle scuole dell’infanzia, con la formazione del personale sulla diagnosi precoce.

QUALI SONO LE PRINCIPALI STRATEGIE DI INCLUSIONE DI UN BAMBINO NELLO SPETTRO AUTISTICO ALL’INTERNO DEL CONTESTO CLASSE?

Si parte sempre dalle attività preferite dal bambino, con un inserimento graduale: da un rapporto “uno a uno” con un altro bambino – il cosiddetto “Peer Tutor”, scelto perché ha delle caratteristiche tali da fungere da traino – fino ad arrivare ad un piccolo gruppo e, se le condizioni lo permettono, alla totalità della classe.

QUAL È IL RUOLO DELLA FAMIGLIA E COME SI INSERISCE NEL TUO LAVORO?

La famiglia è il centro del mio lavoro. Quello dello spettro autistico è più che altro un disturbo relazionale che presenta uno sviluppo non tipico delle aree neurologiche, tra le quali quelle della relazione e delle competenze sociali, e questi aspetti passano in primis attraverso la famiglia. I genitori sono dei veri e propri co-tutors, con il compito di replicare quelle attività portate avanti dal tutor in classe all’interno del contesto familiare, calandole nella relazione genitore-figlio.

Uno dei nodi più complicati di questo disturbo riguarda proprio la generalizzazione. Di solito i bambini nello spettro tendono ad apprendere a schemi e ciò che fanno a scuola non è detto che venga riproposto a casa, essendo un ambiente diverso. Il comportamento infatti, per diventare “stabile”, deve essere ripetuto nel tempo, in ambienti diversi e con persone diverse, per questo il ruolo del genitore è fondamentale.

QUALI SONO LE CRITICITÀ EMERSE NEL CONTESTO PANDEMIA E QUELLE CHE INCONTRI PIÚ FREQUENTEMENTE?

I bambini in questo periodo sono inseriti in contesti limitati, che spesso si traducono nel binomio scuola-casa. Mancano le opportunità di socializzazione e di cambiamento e questo può essere fortemente penalizzante per un bambino nello spettro, con difficoltà di relazione e di replicazione dei comportamenti in diversi ambienti, perché ci sono solo due parametri di confronto. Sicuramente tra le criticità maggiori del mio lavoro c’è la mancanza di un’adeguata sensibilizzazione e conoscenza di questo disturbo, fattori ai quali si dà molta importanza in Gea, sia a livello di prevenzione che di intervento. All’asilo nido di Viterbo, dove mi occupo proprio di una bambina nello spettro, stiamo promuovendo campagne informative e di prevenzione, mentre il progetto “BES-Time” è dedicato ai bisogni educativi speciali. Nel BES faccio tutoraggio settimanale ad un bambino di 10 anni nello spettro, che ha preso diagnosi tardiva all’età di 6 proprio perché non sono stati compresi i campanelli di allarme del disturbo in età precoce.

COSA AMI DEL TUO LAVORO?

Sicuramente l’opportunità di poter mettere al servizio delle persone ciò che io ho appreso dalla mia esperienza personale e formativa, sia a livello di competenze professionali che emotive. Nel nostro territorio si inizia a parlare ora di diagnosi precoce, tecniche di intervento e riconoscimento dello spettro lieve, soprattutto nelle scuole. Sono ancora troppi i bambini con spettro che passano inosservati, i cui comportamenti “non tipici” vengono superficialmente classificati come svogliatezza o distrazione dall’insegnante o dal genitore. Bisogna quindi formare occhi attenti, in grado di rilevare i campanelli di allarme e di saper valutare gli indici di tipicità, oltre i quali esiste per forza un disturbo. I dati parlano di un bambino su trentotto con spettro autistico, un dato che emerge con maggiore forza rispetto al passato grazie alla diagnosi precoce fino a poco fa trascurata e che costringe la società a cambiare approccio.

a cura di Cristina Casini
Ufficio Stampa e Comunicazione
Cooperativa Sociale Gea

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